On novembre 7, 2009, in Senza categoria, by prepapero

Gesta di un viaggio in un ospedale indano



Prefazione: Purtroppo da qualche tempo un’amica non sta molto bene, niente di grave: febbriciattola, poche energie e non si riesce a capire bene cos’abbia, se siano gli strascichi di un’intossicazione alimentare o chissa’ cosa. Dunque il suo medico, dopo aver cercato di curarla a modo suo senza molto successo, le ha dato come ultima opzione il rivolgersi ad un medico in ospedale.

Svolgimento: Oggi la maestra ci ha detto di scrivere un tema con titolo:"… no, questo lo tralascio.

In questi giorni, cosi’, ho passato parecchio tempo all’ospedale Vattelappesca accanto al centro di meditazione di Osho con questa amica, a farle compagnia nelle lunghe attese per le visite, a fare la coda agli sportelli per pagare le visite e gli esami e a fare il traduttore (lei non capisce benissimo l’inglese) raccogliendo delle perle sugli ospedali indiani.

Per prima cosa ci tengo a chiarire un concetto: l’ospedale indiano non e’ cosi’ diverso da una qualsiasi ASL italiana, anzi per molti versi e’ simile.
Ma andiamo con ordine.

Per prima cosa le file agli sportelli, qui la coda e’ sempre schiacciatissima, stai a massimo cinque centimetri da quello davanti e quello dietro ti sbuffa sul collo, anche se c’e’ spazio in abbondanza. Sara’ per denotare che abbiamo tutti fretta. Differenza tra italia e india: se qualcuno taglia la coda qui e’ prassi, nessuno pensa di prendersela o dire mezza parola, visto che piu’ ci si avvicina allo sportello piu’ la coda e’ "a ventaglio", cioe’ ci sono dieci mani protese verso il cassiere, c’e’ una signora che si intrufola per chiedere un’informazione… quindi chi e’ prima e chi e’ dopo non e’ cosi’ chiaro ne’ cosi’ importante.

Secondo elemento predominante: il caos. Sara’ che io e la mia amica siamo stranieri ma mi pare che pure gli indiani abbiano le idee belle confuse su quale sia la prassi per prenotare una visita, un’esame, pagare ecc ecc. Alcuni ti dicono che devi aspettare i risultati degli esami, poi andare allo sportello X, dopo cinque secondi la collega ti dice che puoi andare subito allo sportello Y per pagare… entrambe le informazioni possono dimostrarsi vere o infondate, indifferentemente.

Senza contare che un giorno il dottore X c’e', il giorno dopo dovrebbe esserci ma non c’e’ e quindi il dottore che visita non sa quasi niente di questa ragazza, le rifa’ le stesse domande, stesse riposte e in cinque minuti ti rispedisce fuori con un biglietto che ordina altri due esami. Da fare il giorno dopo e poi ritornare… ritornare…

L’altro giorno nello studio del tal dottore Mandora ho contato dodici persone. Dodici contemporaneamente.
Due medici che alla scrivania scrivevano le ricette che il dottore dettava, il dottore, che dev’essere uno con esperienza, io, la mia amica e sette altri pazienti e parenti; chi in piedi, chi seduto. Ovviamente a volte qualcuno viene anche visitato sul lettino, c’e’ una tenda che da’ un minimo di privacy alla persona ma le domande e risposte mica le scrivono a caratteri cifrati su una lavagnetta. Tutti ascoltano tutto.

Cosi’ l’altro giorno era con noi una signora che probabilmente ha la tubercolosi, col marito. Mi sono visto le sue radiografie mentre aspettavo che visitassero la mia amica. Quell’altro che ha portato il fratello perche’ ha dolori addominali e febbre. E cosi via. Tutti si fanno i cazzi di tutti, senza che nessuno batta ciglio. Mi chiedo se quando devono dare una diagnosi grave facciano un cenno e facciano uscire tutti di botto, il che sarebbe un bruttissimo segno.

Appena fuori dallo studio c’e’ la sala d’attesa con tante seggioline di plastica stile anni 70 colorate. C’e’ un’infermiera con il sari d’ordinanza che -seduta davanti alla porta- fa da buttafuori per gli insistenti che vogliono entrare prima del loro turno (a volte riuscendoci, ovviamente) e organizza la coda. Distribuisce i numerelli e chiama il nome del fortunato paziente. La signora, ovviamente, non spiaccica una parola d’inglese pero’ e’ fluente in hindi e tutte le volte quando le do’ il ticket che dimostra che ho pagato la visita mi fa una ramanzina in hindi su vai a sapere cosa.

L’altro giorno mi giro verso la platea in attesa e dico in inglese
- qualcuno mi puo’ dire cosa ha detto?

Silenzio e facce da pesce. Venti facciotte da pesce verso di me. Un quadro.

Finche’ finalmente un ragazzo mi ha spiegato cosa diceva la signora.

Un’ospedale in India e’ posto di speranza, di vita e di morte, di preghiere (ovviamente) e salendo le scale si vedono alle pareti dei quadretti con tutte le divinita’: da Ganesh (il dio elefante) a Krishna, a Gesu’ nella versione psichedelicha indiana e la foto onnipresente del fondatore dell’ospedale con la sua bella chioma riccioluta.

Ipnosi, si chiama.

A mezzogiorno portano il pranzo ai degenti: un thali con pane, riso, dhal (lenticchie) e verdure. Chi l’ha mangiato giura che sia tutto molto piccante. Io per ora mi sono limitato alla caffetteria dell’ospedale: un luogo all’aperto in cui servono panini, samosa (my love…), chai bollente, nescafe’ (probabilmente acquetta) e dei cannoncini di pasta sfoglia abbastanza buoni.

E -come sempre- la miglior pratica e’ sempre rompere le palle a tutti per farsi fare le cose. Altrimenti ci si vede passare davanti oves et boves et universa pecora.

(ammazza ao’ quanto sta uscendo lungo questo post, ma metto l’ultima chicca)
Normalmente nel reparto di Pronto soccorso o Emergency vedi schizzare le infermiere con le barelle e il ferito ululante con mille flebo stile ER. Qui no, c’e’ il ferito, c’e’ la barella, ci sono minimo quattro parenti attorno ma tutto si muove a passo d’uomo. Sembra che pensino: se devi morire muori, mica ci possiamo fare niente, e’ volonta’ divina. La fretta e’ un concetto a cui l’indiano medio e’ idrorepellente.


Good night babies.

 

Comments are closed.

Siti per blog